In questo disco suono una chitarra costruita da Antonio Emilio Pascual Viudes nel 1925, a Buenos Aires, montata con corde in budello e bassi di seta rivestita. Intorno a questa chitarra, e a quel tipo di corde, si articola un discorso interpretativo dove si concretizzano, seppure nel loro momentaneo equilibrio, i contenuti e lo stile che di queste scelte (chitarra / corde / tipologia di incisione) sono diretta testimonianza.
Nello specifico, il tipo di suono, la corda in budello, lo strumento storico, hanno per prima cosa imposto una riconsiderazione intorno al tipo di articolazione, “costringendomi” a una dizione priva di ogni sforzo, anche muscolare, in nome di una naturale emissione.
Il lavoro qui proposto è anche un'indagine sulla possibilità che un suono di chitarra fortemente radicato nella liuteria iberica del primo novecento (diametralmente opposto a un'idea di chitarra/pianoforte legata al presente) possa ancora oggi esistere. Individuandone soprattutto i modi e le ragioni di relazionarsi con quel presente di cui l'interprete si fa inevitabile testimone.
Di ogni brano non esistono registrazioni separate di singole sezioni, o di gruppi di battute. L'editing, quando c'è, non è una costruzione di tanti frammenti eseguiti in studio e isolati dal loro contesto: questa è stata la risposta alla mia esigenza di non compromettere proprio quel discorso fondamentale del divenire del suono, e in generale di rispettare un certo modus operandi più vicino all’esecuzione dal vivo, che al disco.
Tutto nasce infatti per la radio e non nascondo che alcuni documenti radiofonici del periodo tra le due guerre, a monte di tutto, abbiano scatenato gli entusiasmi necessari alla nascita e allo sviluppo del progetto: di queste testimonianze radiofoniche, ancora più che le incisioni discografiche dello stesso periodo, ho ammirato e ammiro sempre la percezione palpabile che in ogni momento stia accadendo qualcosa di “necessario”.
Qui mi assumo la responsabilità delle conseguenze inevitabili di quelle scelte e di quel modo di concepire l'incisione. Quindi di tutti i rumori derivanti dalle dita, dal tipo di corda, dallo strumento, o addirittura dallo sfregamento del mento sulle fasce della chitarra. Responsabilità, in sintesi, per tutto ciò che deriva dall'utilizzo dello strumento storico e della corda in budello: una combinazione che impone un riordino nelle priorità dell'interprete, riservando alla direzione musicale, al fraseggio, l'assoluta precedenza su tutto il resto.
In questo senso, di assoluta importanza sono state le scelte intorno alla presa del suono, e il conseguente lavoro di post-produzione che, nel ruolo di tonmeister, ha svolto Andrea Lambertucci. Che ha permesso e assecondato (quando addirittura non proposto) queste considerazioni sul suono, sull'idea musicale e la sua relazione con l'ambiente in cui si manifesta, e soprattutto condiviso con me l'esigenza che questi elementi potessero conservarsi in un'incisione.
Ai compositori di questo disco, e in particolare alla figura di Miquel Llobet, riconosco la possibilità che mi hanno dato di identificarmi oggi più consapevolmente nel ruolo di interprete. Il merito della ricollocazione del genio catalano nel novero dei grandi compositori del '900, è di musicisti di rara grandezza quali Stefano Grondona e Carles Trepat, che per Llobet si sono espressi e si esprimono oggi, quali voci ideali.
La decisione di includere in questo lavoro dedicato alla Catalogna un compositore come Manuel De Falla la si deve in maniera esclusiva al suo rapporto – fondamentale per lo sviluppo del repertorio chitarristico da lì a seguire – con Llobet stesso. I brani di Gaspar Cassadó e Jaume Pahissa sono invece legati alla figura di Andrés Segovia, e fanno parte di quel lavoro di scoperta e pubblicazione dei brani che Segovia non tenne a battesimo, ma che a lui furono dedicati: sono inclusi nell'importante collana The Andrés Segovia Edition, a opera di Angelo Gilardino. A questo disco Gilardino è specialmente collegato, quale fondamentale e insostituibile interprete della volontà di scoperta di me stesso come musicista.
Giacomo Palazzesi
Appignano, 10 ottobre 2015
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