STEFANO SCODANIBBIO: VOYAGE THAT NEVER ENDS
- Giacomo Palazzesi

- 5 set
- Tempo di lettura: 4 min
Un canto faceva contemporaneamente
da mappa e da antenna.
Bruce Chatwin, Le vie dei canti
Il 5 agosto scorso, a Palazzo Nada Vicoli di Morrovalle, ho ascoltato Giacomo Piermatti che eseguiva magistralmente Voyage That Never Ends (1979/1997, titolo tratto da Malcolm Lowry) di Stefano Scodanibbio (Macerata, 18 giugno 1956 – Cuernavaca, 8 gennaio 2012).
In quei vorticosi 50 minuti di solo contrabbasso tra ostinati ritmici, risonanze generate da corde vuote, armonici pizzicati, poesia, violenza, ossessione, il compositore voleva depositare il suo «romanzo del contrabbasso». Non vi è dubbio che ci sia riuscito. Non solo Voyage mantiene intatta la sua forza, ma ricorda anche la profondità del cammino che Scodanibbio ha scolpito. Quando ci sono le condizioni – acustiche e tecnico/musicali dell’interprete, come è accaduto in questo concerto – l’opera sfiora l’evocazione. Per dichiarazione filosofica-poetica del compositore stesso, non posso aggiungere nulla a questa breve cronaca di un concerto meraviglioso, perché
«i momenti migliori non si scrivono. […] Akumal, 11.4.1989».
Stefano Scodanibbio ha avuto una vita così ricca di concerti da essere continuamente in viaggio per l’Europa, e dall’Europa agli Stati Uniti, al Messico, etc. La sua rete di collaborazioni era così fitta di nomi oggi passati alla storia, da risultarci quasi incredibile: Luigi Nono (arco mobile à la Stefano Scodanibbio – si legge nella partitura di Prometeo), Terry Riley, Julio Estrada, Luciano Berio, John Cage, Iannis Xenakis, Edoardo Sanguineti, Karlheinz Stockhausen…
Quando scrivo il termine “viaggio” intendo una cosa diversa da quella a cui oggi siamo abituati. Costretto dalla scomodità del contrabbasso, dall’esigenza che ogni musicista ha di dover restare presente alla musica che si dovrà eseguire in concerto, il suo è stato un viaggiare di altri tempi, fatto anche di attese e talvolta di lavoro solitario. In un appunto del 1991, da Saint-Louis du Sénégal, scriveva:
«Molto lavoro per poche battute. Ormai esco dall’Hotel de la Poste solo per i bisogni primari. Niente parchi naturali, niente piroghe, niente boîtes de nuit (solamente de jour)».
Il viaggio arriva ad assumere un significato tanto determinante nella sua poetica di musicista – come poteva esserlo solo la letteratura – da diventare un’opera a sé:
«il passaporto, con il suo bel pacchetto di Visas. L’opera migliore?».
Opere emblematiche in questo senso sono, appunto, Visas (1985/1987, da Vittorio Reta), Lugares que pasan (1999), e i corrispondenti Altri Visas (2000) e Mas Lugares (2003), tutti scritti per la formazione cameristica e “classica” per eccellenza: il quartetto d’archi. Un’incisione recente, bellissima, ad opera dell’Arditti Quartet li raccoglie nel cd Stefano Scodanibbio: String Quartets (KAIROS, 2022).
Anche gli altri lavori per quartetto, le sue reinvenzioni, sono a loro modo dei viaggi: nella memoria, con i Quattro Pezzi Spagnoli (2009); nello spazio, con il Canzoniere messicano (2004/2009); nel suono “puro” con i Contrapunctus I, IV and V (from The Art of the Fugue) (2007/2008). Anche questi brani incisi, questa volta dal Quartetto Prometeo, in un album meraviglioso dal titolo Stefano Scodanibbio: Reinventions (ECM, 2013). A proposito di re-invenzioni: da Luciano Berio, e con Luciano Berio, trascriverà la Sequenza XIV dal violoncello al contrabbasso, Sequenza XIVb (2004), anch’essa un viaggio: nelle estreme possibilità del contrabbasso e anche/dunque nei sentimenti:
«un carattere dolcissimo, drammatico e violento, sta venendo fuori dalla partitura».
Mi domando spesso che compositore sarebbe stato oggi Scodanibbio.
Ha vissuto a una velocità vorticosa, impossibile ai più. Lo si capisce sfogliando i suoi taccuini contenuti in Non abbastanza per me (Quodlibet, 2019), da cui traggo tutte le citazioni di questo breve scritto. La sua poetica evolve altrettanto rapidamente e negli anni ’90 è già all’apice della maturità artistica. Le opere, da quel periodo, sembrano implodere: si presentano formalmente compiute ma poi un tarlo, come un pensiero ossessivo, le scava dall’interno e le sgretola, le porta in una direzione nuova. Fino a pochi anni fa, ovvero prima di mettere sul mio leggio Dos Abismos (1992, titolo ispirato a un verso di José Lezama Lima) pensavo che molti brani di S. fossero nati da una serie di improvvisazioni, da gesti strumentali che solo nell’elaborazione, e poi ancora dopo sulla carta, conquistavano dignità formale. Ma non è così. Leggendo la sua musica mi è parso presto evidente che in ogni brano esiste, prima di ogni altra cosa, un progetto ben definito e allo stesso tempo la volontà di vedere fino a che punto il duende sarà capace di minarlo in fase di stesura. Non è forse la vita stessa a funzionare così? Quanto alla ribellione: S. si dichiarava lontano dal «folklore del contrabbasso» tanto quanto dai festival di musica contemporanea, imbrigliati nella reiterazione di cliché e di luoghi comuni:
«I “colleghi” chiamati a ricordare Scelsi mi annoiavano dopo poche battute.
Lontananza crescente dal mondo della “musica contemporanea”».
Non a caso la sua creatura, la Rassegna di nuova musica di Macerata, ha affinato negli anni una esemplare scelta della programmazione. Grandi temi e grandi interpreti si alternano sul palco in funzione di una drammaturgia che scaturisce dall’impaginato di sala, da un grande tema portante. L’elenco di chi è salito sul palco, in 40 anni di festival, sarebbe impossibile da riportare anche solo parzialmente.
La prima edizione della Rassegna cui ho assistito si intitolava Vento dell’est, anno 2010. Quattro giorni di concerti con opere di Edison Denisov, Sofija Gubajdulina, Galina Ustvolskaya, Arvo Pärt, Sergej Prokof’ev, Alfred Schnittke, Dmitrij Sostakovich, Igor Stravinskij. Nel libretto di sala si descriveva questa musica come
«una corrente mistica che esplode nel momento in cui la Urss si dissolve».
Ho un ricordo indelebile dei martelli di Composition No. 2 “Dies Irae”, di Galina Ustvolskaya, per pianoforte, cubo di legno e ottetto di contrabassi. Dall’occasione nascerà l’ensemble di contrabbassi Ludus Gravis, guidato da Daniele Roccato e, con esso, l’ultimo brano scritto da Stefano Scodanibbio, Ottetto (2010/2011).
Giacomo Palazzesi
Macerata, 3 settembre 2025
